Lo sport è caratterizzato da intensi sforzi fisici e mentali, con atleti che spesso superano i propri limiti per raggiungere ambiziosi traguardi. Tuttavia, questa straordinaria dedizione e impegno possono essere accompagnati da un aumento del rischio di infortuni.
L'infortunio è sempre un trauma sia a livello fisico che mentale. Spesso gli atleti considerati guariti dal punto di vista medico, faticano a prestazionare nuovamente al massimo. Questo accade perché il trauma è un’esperienza forte emotivamente, spesso inaspettata e che avviene in un lasso di tempo molto breve.
Per le caratteristiche di questi tre fattori, l’individuo, in questo caso l’atleta, non ha la possibilità, mentre vive tale esperienza, di mentalizzarla. Il cervello umano, attiva allora, una sorta di “modalità di autoprotezione”, tentando di “congelarla”.
Questa condizione porta a sviluppare degli schemi mentali anticipatori che hanno l’obiettivo istintuale di garantire la sopravvivenza del soggetto e quindi di autoproteggerlo.
Come? Ad esempio mettendo in atto l’evitamento da determinate situazioni, oppure attraverso forti emozioni, come rabbia e tristezza. Tutto molto utile all’autotutela di mente e corpo, ma spesso disfunzionale alla ripresa psicologica e fisica.
È importante quindi riconoscere che il recupero fisico spesso da solo non basta. Gli atleti devono anche affrontare le sfide psicologiche associate al trauma dell’infortunio, come la frustrazione e l'ansia legate alla perdita di prestazioni e all'incertezza sul futuro sportivo. Questi fattori possono avere un impatto significativo sul benessere emotivo degli atleti e influenzarne il percorso di recupero.
Per questi motivi il percorso di recupero psicologico dall’infortunio, inizia, se possibile, contestualmente al percorso di riabilitazione funzionale.